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Obesità, Endocrinologi Ame: farmaci sottoutilizzati

Solo 2 specialisti su 5 li prescrivono

Medico che vai, terapia che trovi. È qualcosa che purtroppo accade spesso alle persone con obesità anche quando complicata da patologie metaboliche come diabete, steatosi epatica, dislipidemia e ipertensione arteriosa. Una ricerca condotta dall’Associazione Medici Endocrinologi (AME), appena pubblicata sulla rivista Frontiers in Endocrinology, ha rilevato che solo 2 specialisti su 5 prescrivono ai propri pazienti con obesità, anche di grado elevato, farmaci approvati per tale patologia in associazione a diete e stili di vita.

“La tendenza alla sottoprescrizione dei farmaci – spiega Renato Cozzi presidente di AME – dimostra che l’assioma ‘il paziente obeso, è obeso perché mangia’, è ancora molto diffuso, anche tra i medici specialisti. In realtà, l’obesità non è mancata volontà o solo cattive abitudini, è una vera e propria patologia cronica che va curata valutando tutte le opzioni terapeutiche, farmaci e chirurgia compresi”. Per raggiungere l’obiettivo di una maggiore appropriatezza terapeutica è stata pubblicata la prima Linea Guida “Terapia del sovrappeso e dell’obesità resistenti al trattamento comportamentale nella popolazione adulta con comorbilità metaboliche”. Approvata dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), questa Linea Guida è stata redatte dall’AME, in collaborazione con ADI (Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica), SIO (Società Italiana dell’Obesità), SICOB (Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità e delle Malattie Metaboliche) e SIGE (Società Italiana Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva). “Utilizzando una rigorosa metodologia in grado di garantire la più obiettiva revisione sistematica della letteratura scientifica, la Linea Guida rappresenta un nuovo punto di riferimento per tutti medici che si occupano di obesità – spiega Marco Chianelli, coordinatore della Commissione Obesità e Metabolismo di AME -. Il documento, lungo 373 pagine, è focalizzato sulla terapia farmacologica e chirurgica nei pazienti in sovrappeso e obesi affetti da comorbilità metaboliche. I medici hanno ora a disposizione una guida basata sulle evidenze, che dà indicazioni precise su cambiamenti nello stile di vita, farmaci, chirurgia, da prescrivere ai pazienti in base a età sesso, situazione socioeconomica, indice di massa corporea e comorbilità presenti”.

La nuova Linea Guida mette fine ad erronee convinzioni: “Sdogana la terapia medica e chirurgica – sottolinea Chianelli – ed evidenzia che prescrivere ai pazienti la terapia giusta non è solo possibile, ma anche doveroso”. Curare correttamente l’obesità riduce il rischio di sviluppare le complicanze metaboliche ad essa associate. “Con la pubblicazione di questa Linea Guida si conferma l’esistenza di una patologia cronica e invalidante, l’obesità, per la quale esistono terapie farmacologiche e chirurgiche efficaci e sicure – afferma Olga Eugenia Disoteo, coordinatore nazionale della Commissione Diabete AME -. Questa patologia è spesso sotto diagnosticata, stigmatizzata, trattata talvolta con indicazioni generiche e diete non sempre efficaci, la disponibilità di una linea guida oltre a dare dignità a una patologia oggi ancora negletta fornisce una chiara prioritizzazione degli interventi terapeutici mirati al singolo paziente e alle sue necessità cliniche. Il nuovo documento ha valore medico-legale e aiuta il medico nelle decisioni terapeutiche a garanzia dei pazienti”. Secondo le stime contenute nel nuovo documento, se si seguissero fedelmente tutte le raccomandazioni contenute nella Linea Guida potrebbe generarsi un risparmio di 16 miliardi di euro in 5 anni per il Sistema Sanitario Nazionale, legato alle complicanze prevenibili dell’obesità.

Fonte: askanews.it

A Lipids in Rome gli esperti fanno il punto

In Italia ogni anno 230.000 persone muoiono a causa di malattie cardiovascolari, e circa 47.000 decessi sono attribuibili al mancato controllo del colesterolo. Una condizione che non riguarda esclusivamente la fascia di età più elevata poiché le stime epidemiologiche mostrano che la malattia si manifesta nel 73% nel sesso maschile e nel 43% di quello femminile già in età giovanile e nella mezza età. Il colesterolo rappresenta infatti uno tra i più importanti fattori di rischio cardiovascolare, causando per il Sistema Sanitario Nazionale un impatto clinico, organizzativo ed economico enorme. Ciò nonostante secondo le più recenti Linee Guida internazionali, su oltre 1 milione di pazienti a più alto rischio l’80% non raggiunge il target indicato. Il controllo del colesterolo, causa di sviluppo e crescita delle placche, è uno dei principali obiettivi della terapia mirata alla prevenzione cardiovascolare. Lipids in Rome, evento organizzato dall’ANMCO – Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri, nella sua seconda edizione riunisce a Roma esperti provenienti da tutta Italia per discutere, condividere, e confrontarsi sulle principali novità in merito a quella che è una vecchia sfida per la quale sono però disponibili nuove soluzioni. L’evento Nazionale si svolgerà il 22 e 23 Marzo presso il Centro Congressi Auditorium Aurelia in collaborazione con la Società Italiana per lo Studio dell’Aterosclerosi e con il patrocinio della più importante società scientifica cardiologica statunitense, l’American College of Cardiology. Fabrizio Oliva – Presidente ANMCO e Direttore Cardiologia 1 dell’Ospedale Niguarda di Milano – dichiara: “Nel corso dell’incontro l’attenzione verrà focalizzata sulla necessità di un trattamento precoce soprattutto dopo eventi acuti come l’infarto del miocardio. La comunità scientifica internazionale è infatti unanimemente concorde sul beneficio che può apportare l’impiego di farmaci ad alta efficacia somministrati quanto prima possibile in modo da evitare che i pazienti siano esposti ai rischi dovuti a livelli di colesterolo elevato. Negli ultimi anni grazie a studi osservazionali su larga scala che hanno incluso centinaia di migliaia di persone è stato dimostrato che quanto più a lungo gli individui sono esposti a livelli elevati di colesterolo tanto maggiore è il rischio di sviluppo e crescita delle placche aterosclerotiche con conseguente rischio di manifestazioni acute quali l’infarto. Per tale motivo le più recenti raccomandazioni formulate dagli esperti di tutto il mondo indicano l’importanza di utilizzare, dopo un evento acuto, non solo farmaci ad alta efficacia ma fin da subito una combinazione farmaci, se necessario includendo farmaci più innovativi come l’acido bempedoico o gli inibitori di PCSK9, cosi’ da aumentare la probabilità di successo della terapia e anche l’aderenza al trattamento ovvero il prosieguo nel tempo della terapia prescritta. Allo stesso modo quando gli elevati livelli di colesterolo sono conseguenza di malattie genetiche, e quindi presenti fin dalla più giovane età, per evitare i danni correlati alla persistente esposizione al colesterolo per numerosi anni, ovvero evitare lo sviluppo e la crescita delle placche, è necessario mettere in pratica un approccio simile, cioè, utilizzare subito farmaci potenti ed in combinazione cosi’ da favorire il mantenimento della terapia nel lungo tempo”. Furio Colivicchi – Past President ANMCO e Direttore Cardiologia Clinica e Riabilitativa dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma – sottolinea: “I due giorni di lavori sono l’occasione per discutere anche delle crescenti evidenze sulle novità all’orizzonte in termini di possibilità di ridurre il rischio cardiovascolare attraverso farmaci, come le piccole molecole di RNA (siRNA) o gli oligonucleotidi antisenso (OSA), in grado di modulare l’espressione di proteine che giocano un ruolo nel metabolismo dei grassi circolanti, con molecole che agiscono in maniera selettiva a livello del fegato. Questo tipo di trattamento ha il vantaggio di avere una lunga durata d’azione, quindi non richiedere una somministrazione quotidiana del farmaco e garantire in tal modo una maggiore aderenza alla terapia. Da circa un anno è a disposizione l’inclisiran, un farmaco che permette di ridurre il colesterolo cattivo in circolo attraverso iniezioni sottocutanee praticate due volte l’anno. Questo grazie al suo meccanismo d’azione del tutto innovativo ovvero riducendo l’espressione di una proteina che interferisce con la captazione del colesterolo plasmatico da parte delle cellule del fegato. La ricerca scientifica, sfruttando un meccanismo d’azione simile, ovvero di modulazione dell’espressione di proteine, sta sviluppando nuovi farmaci rivolti verso altri fattori che aumentano il rischio cardiovascolare e che possono essere responsabili di eventi acuti proprio come il classico colesterolo cattivo. Uno degli obiettivi dei farmaci in via di sviluppo è ad esempio la lipoproteina(a) che, quando è elevata, anche se si interviene efficacemente sul colesterolo cattivo in circolo, può favorire eventi acuti e potenzialmente invalidanti come l’infarto e l’ictus, ma anche la malattia di valvole cardiache come la stenosi valvolare aortica calcifica”. “Globalmente anche l’edizione 20224 di Lipids in Rome 2024 – conclude Colivicchi – sarà un’eccellente opportunità di aggiornamento in campo di gestione delle malattie cardiovascolari associate agli elevati livelli di colesterolo e altri lipidi nel circolo sanguigno, con uno sguardo alle promettenti ed innovative opzioni terapeutiche attese per il prossimo futuro”.


Fonte: askanews.it

Oggi si combatte con l’ortobiologia. E senza bisturi.

Combattere l’artrosi si può, anche senza bisturi: dopo i trattamenti infiltrativi con farmaci antinfiammatori e quelli a base di acido ialuronico, oggi la ricerca si concentra su infiltrazioni con i derivati del sangue, i cosiddetti PRP (Plasma Ricco di Piastrine), fino ad arrivare ai trattamenti con le cellule mesenchimali estratte dal midollo osseo o dal grasso sottocutaneo. Parliamo di ortobiologia, metodiche che sfruttano le capacità rigenerative delle cellule del corpo umano con l’obiettivo di stimolare la ricrescita di alcuni tessuti e di attenuare l’infiammazione, trattamenti non chirurgici e mini invasivi che accendono nuove speranze per coloro che fino a qualche anno fa avevano come unica scelta terapeutica l’intervento di sostituzione protesica. Queste tecniche di medicina riparativa e rigenerativa sono applicabili al trattamento conservativo delle articolazioni, ma anche alla fase post-intervento chirurgico, per migliorarne l’esito, favorendo la guarigione dei tessuti.

L’artrosi è una malattia articolare cronico-degenerativa a carattere progressivo che colpisce in Italia circa 4 milioni di persone: “Per il trattamento dell’artrosi, patologia degenerativa che aumenta con l’età – spiega Alberto Momoli, Presidente della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, SIOT e Direttore UOC Ortopedia e Traumatologia, Ospedale San Bortolo, Vicenza – si sono aperte nuove strade per cure più conservative e, grazie alle tecniche di ortobiologia, siamo entrati in una nuova era in ambito ortopedico. Questo tipo di procedure riguarda però le fasi iniziali dell’artrosi, i gradi 2 e 3. Mentre se l’artrosi è di quarto grado non ci sono alternative all’intervento chirurgico. E’ fondamentale l’intervento precoce”.

Evidenze scientifiche hanno dimostrato l’efficacia delle infiltrazioni con l’acido ialuronico e con il PRP, e la letteratura più recente anche quelle con le cellule mesenchimali, in particolare nell’articolazione del ginocchio. Fra i trattamenti infiltrativi in prima linea per il trattamento conservativo dell’artrosi di ginocchio c’è l’acido ialuronico che viene iniettato nell’articolazione allo scopo di lubrificarla e nutrire la cartilagine rimanente, una pratica clinica ormai diffusa che mostra benefici anche nell’artrosi dell’anca. Nel caso dell’articolazione del ginocchio, quando la risposta a questa terapia non fosse sufficiente, è possibile ricorrere alle infiltrazioni con i derivati del sangue, PRP. In questo caso, dal sangue del soggetto, opportunamente centrifugato, viene estratto il plasma ricco di piastrine che, iniettato, favorisce il rilascio di fattori di crescita piastrinica, cioè di molecole che consentono ai tessuti di ripararsi e rigenerarsi. Il PRP trova ampia applicazione anche nella rigenerazione dei tendini della spalla. Un’ulteriore possibilità, ancora in fase sperimentale, è offerta dalle cellule staminali mesenchimali estratte dal tessuto adiposo addominale e poi infiltrate nell’articolazione artrosica. “Si tratta di una procedura più complessa rispetto a quella prevista dalla cura con il PRP – precisa Momoli – ma si svolge anch’essa in regime ambulatoriale. In entrambi i casi è importante rivolgersi a centri certificati e con elevati standard qualitativi. Quando usato su persone con artrosi, il trattamento a base di cellule mesenchimali, utile anche in caso di tendiniti, è molto efficace sul ginocchio e un po’ meno sull’anca. Bisogna, comunque tener presente che tale cura è in grado solo di rallentare il processo artrosico, ma non di farlo regredire”.


Fonte: askanews.it

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