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Studio clinico coordinato dalla Sapienza

Per la prima volta uno studio clinico rivela che l’uso quotidiano di un farmaco attualmente utilizzato per la disfuzione erettile migliora la situazione cardiaca di pazienti diabetici solo di sesso maschile, mentre favorisce la funzione immunitaria e renale sia negli uomini che nelle donne.

Uomini e donne non rispondono allo stesso modo ai farmaci. Nonostante, siano ben riconosciute le differenze fra i due sessi in diverse patologie, ad esempio in quelle cardiovascolari, per anni gli studi clinici hanno trascurato questo aspetto anche in termini di progettazione degli studi stessi, coinvolgendo prevalentemente pazienti di sesso maschile.

Per la prima volta uno studio randomizzato, placebo controllato, è stato espressamente disegnato per studiare le differenze di sesso in pazienti diabetici, maschi e femmine, con cardiomiopatia diabetica, nella risposta al tadalafil, un farmaco testato inizialmente come vasodilatatori per combattere alcune patologie cardiovascolari e attualmente utilizzato per combattere la disfunzione erettile.

Accade spesso nella ricerca scientifica che un farmaco testato contro una malattia si dimostri efficace anche contro altre. È stato il caso degli inibitori della fosfodiesterasi di tipo 5 (PDE5i), come Viagra e Cialis. Per questo motivo, l’indicazione dei PDE5i virò al campo andrologico, determinando la fine dell’interesse “commerciale” per la ricerca in ambito cardiovascolare. Tuttavia il gruppo di ricerca, coordinato da Andrea Isidori del Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza, ha evidenziato i potenziali benefici dei PDE5i anche nel trattamento delle complicanze del diabete, identificando coloro che potrebbero trarre giovamento da questa classe di farmaci: gli uomini affetti da problemi microvascolari correlati alla patologia (disfunzione erettile, cardiomiopatia, malattia renale) e le donne in menopausa a rischio per malattia renale, aprendo scenari interessanti sul ruolo degli estrogeni nel mediare gli effetti dei farmaci a livello cardiaco.

“L’efficacia in campo andrologico dei PDE5i – continua Andrea Isidori – ha attirato l’attenzione della comunità medica a tal punto da far ignorare il loro possibile utilizzo nelle donne. Abbiamo quindi insistito nel voler indagare altri target di questi farmaci. Dopo aver dimostrato l’efficacia dei PDE5i sul rimodellamento cardiaco in uomini diabetici, abbiamo messo insieme, attraverso una metanalisi, tutte le evidenze scientifiche, riscontrando differenze legate al sesso nelle popolazioni di studio. Successivamente abbiamo scoperto che anche i reni possono essere target dei PDE5i. Oggi, con questo nuovo lavoro, abbiamo infine dimostrato come gli effetti dei PDE5i siano sesso e tessuto specifici, rivelando il notevole potenziale di questi farmaci, specialmente nell’ambito della medicina di precisione”.

Lo studio, nato dalla collaborazione tra i dipartimenti di Medicina sperimentale, di Scienze cliniche internistiche, anestesiologiche e cardiovascolari, di Medicina traslazionale e di precisione, di Scienze radiologiche, oncologiche e anatomo-patologiche della Sapienza e l’IRCCS Neuromed di Pozzilli, l’Università Campus bio-medico di Roma, l’Ospedale Fatebenefratelli e l’Università di Cagliari, è stato pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine.

Fonte: askanews.it

Due anni follow up clinici ne confermano validità

Presentati al congresso mondiale di Ortopedia i primi risultati consolidati dell’innovativo intervento di riparazione del legamento crociato anteriore (LCA) messo a punto presso l’ospedale Sant’Andrea di Roma dal prof. Andrea Ferretti. L’annual meeting presso Chicago dell’American Academy of Orthopaedic Surgeons e il Congresso della European Society for Sports Traumatology, Knee Surgery and Arthroscopy di Parigi, tenutisi rispettivamente a marzo ed aprile scorsi, plaudono al successo dell’approccio riparatorio alla rottura del legamento crociato anteriore, una delle più frequenti lesioni del ginocchio dovuta ad un trauma sportivo. I diversi follow up sui pazienti operati, a distanza di due anni come previsto per interventi del genere, certificano la validità della metodica grazie alla quale il Direttore dell’UOC di Ortopedia del nosocomio capitolino ed Ordinario di Malattie dell’Apparato Locomotore alla Sapienza di Roma si prefigge di modificare radicalmente l’approccio chirurgico alle lesioni legamentose del ginocchio.

La tecnica consiste nella riparazione diretta del legamento lesionato, anziché nella sua ricostruzione con prelievi tendinei dello stesso paziente, fonte talora di disturbi funzionali e del mancato pieno recupero della forma muscolare e della funzione propiocettiva.

Fino ad oggi si riteneva che, una volta rotto, il legamento crociato anteriore non si potesse riparare e dovesse necessariamente essere sostituito con dei tendini, usualmente prelevati dal ginocchio dello stesso paziente, con interventi ricostruttivi piuttosto invasivi e non privi di conseguenze a carico proprio delle strutture muscolari, private in parte o del tutto delle loro terminazioni tendinee. Questa nuova metodica, diversamente, riabilita e sfrutta pienamente le capacità biologiche di riparazione del LCA, permettendone la guarigione, a vantaggio di un decorso post-operatorio e una riabilitazione motoria del paziente decisamente più semplici e veloci. Prerequisiti indispensabili sono un intervento tempestivo e una rottura netta del legamento. Quando il tessuto – sostanzialmente integro nel suo decorso ma lesionato in prossimità della sua inserzione ossea sul femore – si danneggia, utilizzando dei fili di sutura ad alta resistenza si imbastisce il legamento per reinserirlo a livello femorale mediante uno o due piccoli fori trans-ossei. L’operazione di riparazione, da eseguire preferibilmente nelle prime due settimane dall’evento traumatico, trova oggi indicazione nei circa 2/3 della totalità delle lesioni. Di qui la necessità di una pronta diagnosi clinica.

Dal 2019 ad oggi, al Pronto Soccorso del Sant’Andrea sono giunte 227 lesioni acute di LCA rispondenti ai requisiti per un trattamento precoce: 141 (di cui 42 dall’inizio del 2022) sono state giudicate idonee alla riparazione, mentre negli altri casi è stato eseguito un intervento convenzionale di ricostruzione del legamento. A Chicago e a Parigi sono stati presentati i controlli clinici e radiografici (mediante Risonanze Magnetica) dei primi 44 casi per i quali è stato raggiunto il tempo minimo necessario ad una valutazione affidabile della metodica. Gli studi eseguiti in collaborazione con l’Unità Operativa di Genetica medica e diagnostica molecolare avanzata, diretta dal prof. Vincenzo Visco, hanno inoltre appurato come il tessuto di riparazione non sia costituito da un semplice circuito cicatriziale, ma possieda le caratteristiche molecolari del LCA originale; ciò a differenza delle ricostruzioni tendinee, che invece sembrano conservare – anche a distanza di tempo – le proprietà originali del tendine, simili ma non identiche a quella del legamento.

Fonte: askanews.it

Domani incontro con Costa. Ass. pazienti pronte a vie legali

“La cannabis medica contro il dolore cronico è introvabile. E questo rende impossibile mantenere una continuità terapeutica”. E’ l’appello che arriva dalle associazioni di pazienti che domani incontrano il Tavolo tecnico del Ministero istituito e presieduto dal sottosegretario alla Salute, Andrea Costa.
I medicinali a base di cannabis terapeutica sono regolarmente utilizzati per il supporto alle cure di specifiche patologie dietro prescrizione medica e fanno parte dei piani terapeutici di cura per il dolore di numerosi Centri Ospedalieri e ASL nel territorio nazionale. In diverse Regioni e, in base alla patologia, queste preparazioni sono rimborsate dal SSN.

“Attualmente sono sette le patologie che rientrano, secondo il decreto Lorenzin, nell’erogazione gratuita da parte dello stato di cannabis terapeutica – spiega ad Askanews la Presidente del Comitato Pazienti Cannabis Medica, Santa Sarta – ma in realtà le malattie che da questo uso terapeutico della cannabis potrebbero trarre benefici sono molte di più. Purtroppo da cinque anni la cannabis continua a scarseggiare ciclicamente nelle farmacie e in questi ultimi tempi è diventata veramente un miraggio. Questo fa sì che oltretutto non ci sia continuità terapeutica”.
Nel nostro Paese, la prescrizione del medico (Ricetta Non Ripetibile RNP) per preparazioni magistrali a base di cannabis per uso medico e’ dispensata dal farmacista che – sulla base delle prescrizioni – acquista la sostanza attiva (infiorescenza)e allestisce le preparazioni magistrali.

“Per i malati, avere a disposizione il trattamento della cannabis terapeutica è fondamentale e rappresenta spesso l’unica possibilità di dare sollievo alle loro gravi sofferenze fisiche”, spiegano le associazioni.
L’acquisto di infiorescenze avviene mediante richiesta al Ministero della Salute da parte delle Regioni (fabbisogno annuo di ASL e farmacie ospedaliere) o degli importatori autorizzati. Il fabbisogno si basa sull’andamento storico delle forniture attribuite l’anno precedente e quindi negli anni è rimasto insufficiente rispetto alla crescente platea di pazienti che si è via via riscontrata.

“In questo momento – sottolinea Sarta – l’unico produttore nazionale è l’Istituto farmaceutico di Firenze, che non riesce assolutamente a soddisfare il fabbisogno nazionale.
Per quanto riguarda l’attività di importazione, l’unico canale di approvvigionamento diretto dall’estero autorizzato è quello olandese”, in virtù di un accordo commerciale tra il Governo italiano e olandese che obbliga gli importatori a rivolgersi esclusivamente ad un’azienda.
Il numero dei pazienti italiani che oggi fa ricorso a tali medicinali è stimato in oltre 50.000. A fronte di un fabbisogno stimato in almeno 10 tonnellate annue, la quantità di materia prima importata dall’Olanda è di circa 600kg mentre i restanti 200-250kg sono prodotti a Firenze. Il nostro Paese è quindi in grado di mettere a disposizione solo 850kg complessivi. A solo titolo esemplificativo, la Germania – che ha una popolazione di 80 milioni di abitanti, circa 60 mila pazienti ed un sistema sanitario simile a quello del nostro Paese – ha recentemente chiesto l’autorizzazione all’International Narcotic Board, per importare circa 30 tonnellate di materia prima. Nel mercato tedesco, l’approvvigionamento di infiorescenze avviene da diversi Paesi, sia europei che extra europei come: Malta, Spagna, Olanda, Canada, Portogallo ed Israele.
Esistono infatti diversi produttori ed esportatori, sia europei che extra europei, che, al pari dell’azienda olandese, sono regolarmente autorizzati dall’International Narcotic Board e le produzioni sono regolarmente certificate: “Noi chiediamo – chiarisce Sarta – che l’Italia apra questi altri canali. E domani al sottosegretario Costa presenteremo un documento sottoscritto dalle associazioni dei pazienti della cannabis terapeutica che chiedono allo Stato che venga fatto qualcosa di concreto per colmare il gap ormai decennale tra domanda di cannabis medica in Italia e produzione e importazioni autorizzate dal Ministero della Salute. Ci aspettiamo un parere positivo perchè sappiamo che altrimenti i prossimi mesi saranno terribili per i pazienti. Se non dovessimo avere riscontro, siamo pronti anche a passare alle vie legali”.

(Maria Paola D’Emilio)


Fonte: askanews.it

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